martedì 8 gennaio 2008

"I primi ad agitare lo spettro del genocidio sono i politici kenioti che sfruttano l’ignoranza dei media internazionali"

Gia ieri volevo segnalare questo articolo di Joshua Massarenti su panrama.it ma non ho avuto tempo, lo riporto integralmente di seguito.

Lo trovo interessantissimo per capire la situazione del kenya e il perché degli accadimenti di questi giorni.


Kenya: ma quale conflitto etnico, è la rivolta dei giovani disoccupati

La polizia paramilitare spara dei razzi lacrimogeni contro i manifestanti dell'Orange Democratic Movement a Mombasa


Come tanti altri suoi colleghi, Hervé Maupeu era convinto che non ci sarebbe stata storia. “Raila Odinga era il superfavorito di queste elezioni. Nessuno tra noi avrebbe immaginato un simile capovolgimento. Purtroppo, le violenze di questi ultimi giorni sono un danno inimmaginabile al sistema democratico keniota”.

Il giudizio è tanto più pesante visto che Maupeu è noto nell’ambiente africanista per essere uno dei massimi esperti del paese. Politologo, da oltre vent’anni le sue attività di ricerca si dividono tra la Francia, dove dirige il Centre de recherche et d’études sur les pays d’Afrique orientale (Crepao), e il Kenya, che lo vede collaborare con l’Institut français de recherche en Afrique (Ifra). L’ultimo viaggio era previsto due giorni fa. “Ho annullato il mio volo”, rimandando così alle calende greche le sue ricerche su “una setta religiosa kikuyu (l’etnia del presidente Kibaki, ndr) con la fama di essere iper-violenta. Peccato perché mi avrebbe permesso di capire meglio le cause e le dinamiche del caos attuale”.

Che cosa intende dire?
Per giustificare gli scontri tra kikuyu e luo, i media ricorrono alla solita scorciatoia invocando un fantomatico odio tribale plurisecolare. E così ripetono gli stessi errori commessi durante il genocidio rwandese.
Infatti molti avanzano l’ipotesi che il Kenya rischia di fare la stessa fine del Rwanda nel 1994…
Purtroppo, i primi ad agitare lo spettro del genocidio sono i politici kenioti che sfruttano l’ignoranza dei media internazionali. Ma l’ipotesi è del tutto fuori luogo.
Perché?
Secondo lei luo e kikuyu avrebbero pianificato dall’oggi all’indomani uno sterminio di massa? Sciocchezze. In Kenya, i conflitti cosiddetti etnici sono da sempre strumentalizzati dall’élite politica. Alcuni leader dell’attuale opposizione (quella guidata da Raila Odinga, ndr) finanziano e manipolano bande di giovani spedite in aree sensibili come la Rift Valley e la regione di Nyanza per seminare il terrore tra la gente considerata non autoctona come i kikuyu. È un mezzo efficace per indebolire l’avversario politico e costringerlo a negoziare. Questa è la strategia di Odinga, che dispone di bande giovanili ultra-violente con cui spingere Kibaki ad ammettere di essere stato sconfitto. Al contrario, in Rwanda, non c’era spazio al dialogo: l’élite estremista hutu voleva semplicemente sterminare la minoranza tutsi. Punto e basta.
Che responsabilità ha Kibaki in questo bagno di sangue?
Enorme. È risaputo che in Kenya l’epurazione etnica è un mezzo per garantire la propria rielezione. Episodi simili, ma di minore intensità, si erano verificati negli anni ’90. Kibaki e la sua cricca pensavano di controllare il malcontento luo con le forze dell’ordine. Che ingenuità. Esercito e polizia keniote possono prevenire gli scontri etnici in città, ma non nel mondo rurale. E così è stato.
A cosa si deve l’avversità fra luo e kikuyu?
Contrariamente alle altre etnie del paese, luo e kikuyu sono state le uniche ad aver alimentato durante il periodo coloniale un nazionalismo sovrapponendo la propria identità etnica con quella nazionale. Fino all’indipendenza, le élite luo e kikuyu sono andate a braccetto per abbattere il colonialismo britannico. Dopo di che, l’accordo è saltato con la vittoria di Jomo Kenyatta (kikuyu) su Jaramogi Oginga Odinga, il padre di Raila. Dagli anni ’60 in poi, prima Kenyatta e poi il suo successore Arap Moi hanno emarginato i luo. La situazione si è capovolta nelle elezioni del 2002 con Kibaki pronto ad allearsi con Raila Odinga per sconfiggere il figlio di Jomo Kenyatta su cui il presidente uscente Moi aveva puntato per preservare il suo potere. Purtroppo, una volta eletto, Kibaki ha tradito il patto elettorale con Odinga, quindi con i luo. Ma questo tradimento non può da solo giustificare l’attuale ondata di violenze.
E che cosa la giustifica?
La frattura sociale che è venuta a crearsi tra un’élite politica keniota corrotta e la popolazione. Nel 2002, Kibaki aveva promesso la creazione di centinaia di migliaia di impieghi, soprattutto per i giovani che compongono la maggioranza demografica del paese e la più colpita dalla disoccupazione. Ma la promessa non è stata mantenuta, questo nonostante i buoni risultati economici. Non a caso sono i giovani i veri protagonisti degli attuali massacri. E non a caso sia Kibaki che Odinga non riescono a ottenere l’unanimità nelle loro rispettive etnie.
Come finirà?
La Comunità internazionale deve organizzare un’uscita di scena decorosa per Kibaki e imporre Odinga come nuovo presidente del Kenya. Potrà prendere alcuni mesi, ma non vedo alternative per ridare credibilità al paese che, tengo a ricordare, è considerato da molti un esempio di democrazia africana.

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