lunedì 22 giugno 2009

Incendio senza fine

Ci sono due bellissimi romanzi di Ken Follet nei quali uno dei temi portanti della storia e' la costruzione di due cattedrali. Il primo "I pilastri della terra" e' ambientato nella Inghilterra medioevale del XII secolo. Il secondo "Mondo senza fine" e' il seguito ideale del primo, ambientato 2 secoli dopo negli stessi luoghi, e sempre, da sfondo della storia e filo conduttore della trama, e' la costruzione di una cattedrale, piu' bella, piu' grande, ma specialmente, secondo quelli che erano i dettami gotici, piu' alta della precedente... altissima.

Ma quanta fatica per costruirla! 1300 pagine di romanzo te ne possono dare solo una vaga idea... Il protagonista espertissimo mastro costruttore dell'epoca deve viaggiare, andare in Francia, Italia, studiare, studiare e ancora studiare, e poi ci sono crolli, imprevisti di ogni genere.. incendi. Le tecniche si andavano sviluppando allora: come si fa a costruire una struttura cosi' alta in pietra? Bisogna tener conto della spinta del vento, della pressione dell'acqua piovana che cade sul tetto, della pressione del peso stesso della struttura sui muri portanti... le fondamenta devono essere dimensionate di conseguenza... beh insomma non ci si inventa mica costruttori di cattedrali da un giorno all'altro! Certo pero' che entrando in una cattedrale si rimane a bocca aperta: quelle mura cosi' alte, quel tetto che sembra toccare il paradiso. Certo un tetto cosi' alto in legno e' sempre un pericolo: si puo' incendiare e trasformarsi in un inferno in terra. Un tetto in legno pesante e' difficile che si incendi, ma dopo secoli che rimane li al suo posto... con il legno bello secco... un incendio puo' capitare... dopo secoli, dicevo.

Pero' quanto sarebbe bello avere una meraviglia del genere a casa propria: una cattedrale personale! Da mostrare agli amici, che possano rimanere con il naso all'insu' per piu' di 3 minuti ad ammirare quello che sembra un miracolo.

Beh non bisogna andare tanto lontani: gli italiani di Malindi questa meraviglia l'hanno reinventata: l'effetto e' quasi lo stesso e lo stupore degli ospiti che vengono a visitarla paragonabile: una bella villa con il tetto in makuti.

Il makuti e' un materiale povero da sempre utilizzato in Kenya per la costruzione delle povere capanne tradizionali. Queste costruzioni sono fatte di mura realizzate con sterco di vacca mischiato a fango, e tetti in makuti, ovvero foglie di palme da cocco essiccate e sapientemente legate assieme a formare dei panetti che si chiamano "Kuti", dal costo di 5 scellini l'uno (5 centesimi di euro). Con questa tecnica tradizionale si possono coprire quattro mura di sterco e fango al costo di 10 euro. Una copertura effimera ma bastante per uno, anche due inverni, l'importante e' riparare qualche buco qua e la il secondo anno. roba di pochi minuti. Un tetto in paglia tal fatto puo' andare a fuoco, ma che importanza ha? Chi costruisce queste costruzioni da secoli, di solito non vi tiene niente sotto, anche perche' non ha niente da tenerci.

Gli italiani da sempre maestri nel reinventare e nell'adattare hanno pensato che un materiale cosi' leggero, sostenuto da travi in legno leggero e durissimo (la casuarina che si trova abondante in queste zone) fosse l'ideale per la costruzione di tetti altissimi, faraonici. Il legno lavora bene a trazione ed a compressione e' facilissimo quindi fare degli intrecci di pali che sostengano tetti altissimi, il cui unico scopo e' stupire. Ma... c'e' un ma... basta una scintilla e un materiale come il makuti posto in posizione ben areata, essiccato per bene al sole africano, e sostenuto da pali in legno che certo ignifughi non sono, basta una scintilla dicevo, e una cattedrale va in fumo in 5 minuti.

Qui vorrei che non mi si fraintendesse: un incendio di un mastodontico tetto in makuti non "parte" in 5 minuti: in 5 minuti e' gia' tutto finito. In 5 minuti il tetto e' gia' crollato, il makuti ha fatto una grande vampata, spargendo lapilli grossi come noci di cocco che, partendo da una altezza di circa 30 metri e sospinti dal vento e dal vortice di aria calda sprigionato, andranno ad incendiare tutte le cattedrali che si trovano in un raggio di qualche centinaioo di metri. Dopo 8 minuti si sono bruciate 2 cattedrali, dopo 10 minuti, 3 cattedrali.

Dopo mezz'ora ieri all'una del pomeriggio circa, un intero albergo, parecchie ville (il nation parla di 250, ma e' solo un titolo sensazionalistico) della zona e un intero quartiere di capanne di poveri cittadini locali, sono andati in fumo. Se fossimo a Milano dopo circa mezz'ora sarebbero arrivati gli efficientissimi pompieri con attrezzature ultramoderne e personale preparato, ma non avrebbero potuto far niente se non constatare il disastro, e spegnere gli ultimi focolari per evitare che altre case si incendino. Forse avrebbero bagnato i tetti dei makuti delle vicinanze miracolosamente scampati, a scopo preventivo.

Ieri i soccorsi partiti dal casino e dal Coral key, come racconta malindikenya.net sono stati tempestivi ed encomiabili, ma non ci si faccia illusioni. Le case si sarebbero incendiate anche se le piscine fossero state piene e le strade sgombre dai roghi. Un incendio in makuti bisogna tentare di fermarlo nei primi 30 secondi, dopo.. e' troppo tardi.

L'incendio di ieri ha dimostrato anche un'altra cosa: le case si sono bruciate nonostante fossimo in piena stagione delle piogge. I tetti sono stati abbondantemente bagnati fino a 24 ore prima, ma in Kenya la stagione delle piogge e' piu' che altro una invenzione degli operatori turistici. Vuol dire che piove per dieci minuti abbondantemente e per due ore c'e' il sole.. in quelle due ore tutto si asciuga. Poi ancora mezz'ora di pioggia e cosi' via. Se un corto circuito parte alla fine dell'acquazzone (e forse proprio a causa dell'acquazzone) non c'e' scampo, il Makuti si incendia anche se umidiccio.

Stamattina sono passato a vedere di persona l'entità del disastro, la scena era irreale ed in mezzo ad un silenzio assoluto la mia attenzione e' stata attratta da un rumore di operai al lavoro. Mi guardo intorno ed a meno di 100 metri dall'ultima villa incendiata ce ne era un'altra in costruzione, grandissima e molto più alta delle altre: impressionante. Gli operai senza protezione erano arrampicati lassu, se aguzzate bene gli occhi li potete vedere nella foto che ho scattato. Una nuova cattedrale in costruzione piu' alta e piu' bella delle altre (che pero' non ci sono piu') che si e' salvata per questione di ore: il makuti non era stato ancora posato, c'è ancora solo lo scheletro ti travi di casuarina.

Quando sarà finita sarà sicuramente una cattedrale bellissima.

Altri articoli di Mal di malindi sugli incendi dei tetti di Makuti a Malindi si trovano qui.

2 commenti:

  1. Premetto innanzitutto dire che sono un architetto, sono stato 5 volte a Malindi per questioni di lavoro alla BSC di Ngomeni, la prima volta ed era pure la prima volta in Africa ho alloggiato al Coral Key, la mia camera e coperta con un tetto makuti, il mio primo pensiero fu proprio questo "ma se qui scoppia un incendio facciamo la fine delle quaglie sulla brace" vabbè non ci pensarono risposero i colleghi che erano con me, la seconda volta fu proprio al Palm Tree, mi studiai bene la situazione analizzai tutti di sistemi antincendio presenti e dissi "questa è l'ultima volta che alloggerò in una struttura del genere non ci sarà una prossima volta" le ultime tre missioni di lavoro ho allogiato al Woburn dell'amico Franco Esposito le coperture sono inclinate ma con un massiccio solaio in cemento, pochissime le strutture in legno.
    Condivido in pieno tutto quanto hai detto nell'articolo, e siamo stati fornunati a non contare perdite di vite umane
    f.silvestro

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  2. Premetto anzitutto che sono un vigile del fuoco.
    Non mi dilungherò a confermare quanto detto nei pungenti articoli di Nicola a proposito del makuti; è evidente a tutti la giustezza di quanto affermato.
    Però mi è venuta chiara una analogia tra il makuti e Malindi.
    Malindi, come il makuti, è bella, ma delicata e insidiosa, e gli interventi degli investitori italiani nella zona devono essere fastti con prudenza, perchè a furia di ingigantire e trasformare rischiano di fare più danni che vantaggi

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